30 giorni con il braccio rotto

Trenta giorni con il braccio rotto, una mamma disperata alle prese con un adolescente e il suo gesso al braccio.

Che bella la primavera con le sue tiepide giornate e la voglia costante di uscire all’aria aperta. A me prende quel desiderio di sedermi in sella sulla bici e andare per strade e campi assaporando le prime giornate luminose dell’anno. La macchina rimane in garage e anche i piccoli spostamenti diventano la scusa per prendere la bici e farsi una bella passeggiata.

Tutto meraviglioso se non fosse che proprio nei primi giorni di sole e fiori, tuo figlio si rompe il braccio, proprio cadendo dalla bicicletta. Addio gite ciclistiche all’aria aperta per trenta giorni. E non solo quello.

Fortunatamente (non so se proprio di fortuna si può parlare) la caduta è avvenuta entro le mura domestiche di un bel venerdì nel tardo pomeriggio, proprio prima di uscire per qualche commissione da sbrigare a pochi isolati da casa, utilizzando appunto la bicicletta. Dopo l’inevitabile spavento, lasciando Emma a casa di amiche e avvisando oppurtunamente tutti i parenti stretti, io e Diego ci siamo diretti in ospedale. Il braccio aveva una sinistra gobbetta che non lasciava presagire nulla di buono anche se lui riusciva a muoverlo, nonostante il dolore. Appurato con la radiografia che il braccio rotto lo era davvero, ci siamo recati in un altro ospedale per l’ingessatura. Non spaventatevi ma è così, nei piccoli ospedali non sono garantiti tutti i servizi e spostarci in un ospedale più attrezzato è normale, avrei dovuto dirigermi lì da subito ma confidavo in una buona stella e che la gobbetta fosse il bozzo di un semplice ematoma. Ingenua donna che sono!

Ritornati a casa sono iniziati i primi fastidiosi inconvenienti di poter utilizzare solo un braccio, per lui ma anche per me. Insomma Diego è un ragazzo di quasi 13 anni, indipendente in praticamente tutto e spesso in grado di aiutarmi in piccole cose come rifarsi il letto o mettere a bollire l’acqua. Con un braccio rotto anche le cose più semplici diventano complicate come vestirsi, tagliare una bistecca e ovviamente lavarsi senza bagnare il gesso.

Vestirsi con il gesso al braccio.

Il tempo, quello metereologico, ci ha aiutato perché nei primi giorni di ingessatura le temperature erano decisamente superiori alla media e Diego riusciva a vestirsi con relativa facilità, indossando semplici t-shirt. La difficoltà maggiore stava nell’infilare la felpa ma dopo qualche giorno ha preso padronanza di una sofisticata tecnica ninja per riuscire a fare da solo, anche quelle senza zip. Per fortuna ho un ragazzo intraprendente! Però le calze ho dovuto infilargliele io per tutto il mese!

Lavarsi con il gesso al braccio.

Per il lavaggio bisogno armarsi di sacchetti di plastica, elastici e tanta pazienza. Soprattutto se tuo figlio è un adolescente che inizia a vergognarsi di mostrarsi nudo, pure a me che l’ho fatto! E’ una fase così e accuso il colpo. Per andare sul sicuro prima di entrare in vasca o in doccia, gli ho protetto il braccio ingessato con un sacchetto di plastica annodato appena sopra la fine del gesso e ricoperto il tutto con anche un sacco della spazzatura fermato con un elastico per capelli largo in modo da non stringere molto il braccio. In questo modo siamo andati alla grande, gesso intonso ma doccia anche per me ogni volta, visto che mio figlio è un elefante in una cristalleria anche senza braccio rotto, figurarsi con.

Dormire con il gesso al braccio.

Le prime notti sono state le più difficili. Un braccio bloccato non è di certo comodo né per trovare la posizione né se durante il sonno ti giri spesso. Ovviamente se tuo figlio non riesce a dormire chi vuoi che chiami? Eccomi presente! Le prime notti sono state difficili ma anche le altre…

Mangiare con il gesso al braccio.

Anche mangiare con un braccio rotto non è molto semplice anche se il braccio in questione non è quello che si usa normalmente. Certo che no, non ho dovuto imboccarlo ma grattuggiare il grana sulla pasta, versare l’acqua senza allagare la tovaglia, tagliare la bistecca per non farlo mangiare come Fred Flinston e cambiare piatto senza rompere tutto il servizio sono operazioni che hanno avuto bisogno del mio aiuto.

Dopo 10 giorni circa dal fattaccio, ho portato Diego a fare una visita di controllo con relativa radiografia. 3 ore in ospedale spese bene….e dopo 25 giorni altro controllo e finalmente è tutto a posto (ringraziamo le festività e vari ponti che hanno permesso di togliere l’amato gesso ben 5 giorni prima), il braccio è di nuovo libero.

Va bene, ho scherzato e così mi sono anche un attimo sfogata perchè in tutta questa storia io mi sono sentita terribilmente in colpa perchè nello stesso giorno, qualche ora prima, gli ho fatto una ramanzina che non finiva più, che passava troppo tempo davanti allo schermo invece che uscire e farsi un giro in bicicletta. Eccolallà!

P.S. comunque anche il controller della Play non era pratico da tenere in mano e in quello di certo non l’ho aiutato.

5 Comment

  1. Mariacarla dice: Rispondi

    È una situazione molto difficile . Mio figlio si è rotto il braccio in agosto al mare. Non ti dico le difficolta

    1. admin dice: Rispondi

      Immagino! con il caldo ancora peggio.

  2. Silvia Poletti dice: Rispondi

    Non mi sono mai rotta nulla, e leggendo il tuo post ringrazio per aver avuto questa fortuna! Spero le mie figlie seguano il mio esempio…

  3. Buchetta dice: Rispondi

    Ammazza che post inutile, speravo di trovarci qualche consiglio

    1. Vero, hai proprio ragione. Questo post non è stato scritto nella presunzione di distribuire consigli, ma con l’intento di condividere una mia esperienza con un po’ di ironia. Nel 2017 si scrivevano ancora i blog per raccontare, solo per il gusto di farlo, anche se era un fenomeno già in declino. Oggi siamo abituati ai social popolati da chi vuole insegnare qualcosa spesso senza avere le competenze adeguate e, di contro, da utenti che commentano senza gentilezza forti dell’anonimato di un nickname. Grazie per aver perso del tempo nel commentare un articolo di 6 anni fa, dopo tutto questo tempo, la considero una gentilezza.

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